Cosa c’entrano mutui e prestiti con lo spread
Di Alessandro D’Amato
8 ottobre 2018 http://www.nextquotidiano.it
Oggi il MoVimento 5 Stelle ha deciso di combattere la sua battaglia contro le fake news dei giornali segnalandoci che non c’è alcun legame diretto tra mutui, prestiti e spread. Lo ha fatto pubblicando un articolo del Sole 24 Ore, e già questo dovrebbe bastare a darci la necessaria dimensione della situazione disperata ma non seria.
Cosa c’entrano mutui e prestiti con lo spread
Eppure è da maggio, ovvero dalla prima piccola crisi dello spread scatenata dalla bozza del contratto Lega-M5S per il governo, che i giornali ricordano che chi ha un mutuo in corso a tasso fisso (basato sul tasso europeo Eurirs) o a tasso variabile (basato sul tasso Euribor) non ha nulla da temere. Le condizioni ovviamente non cambieranno per il tasso fisso, mentre per quello variabile cambieranno solo se cambia l’Euribor che dipende dai tassi decisi dalla Bce. E la BCE ha già una sua strategia sui prossimi rialzi dei tassi che non è influenzata dal costo del debito pubblico italiano, ma dipende dall’andamento di economia e inflazione nella zona euro.
Ecco quindi che le rate del mutuo stipulato tempo fa a tasso fisso possono stare tranquilli, come del resto i giornali avevano scritto a maggio (il M5S ci è arrivato a ottobre ma ciascuno ha i suoi tempi). Ma se lo spread BTp-Bund sale anche chi sta pagando un mutuo a tasso variabile non vede aumentare la propria rata. Anzi, paradossalmente, se lo spread dovesse salire ulteriormente e la tensione in Italia dovesse trasformarsi in un attacco speculativo e a sua volta questo attacco speculativo dovesse contagiare altri Paesi dell’Eurozona a tal punto da compromettere la crescita economica, a quel punto è ragionevole supporre che la Bce possa essere spinta a rimandare i tempi di una stretta monetaria (rialzo dei tassi). Ma è tutto qui?
Il vero effetto dello spread su mutui
No, non è tutto qui e se il M5S avesse letto l’articolo del quotidiano che ha postato sul Blog delle Stelle se ne sarebbe reso conto da solo. Per ora infatti gli spread sui nuovi mutui non sono stati modificati e anzi viaggiano ai minimi storici (addirittura azzerati sul fisso e intorno allo 0,7% sul variabile). Ma il pezzo del Sole avverte:
Detto ciò, lo spread BTp-Bund può avere nel medio periodo (circa sei-nove mesi) il potere di spingere le banche ad aumentare i costi dei “nuovi” mutui (ma non di quelli in essere). Questo perché un aumento prolungato dei tassi obbligazionari può impattare sul costo di raccolta del denaro delle banche e sulla gestione della tesoreria.
Questo aumento di costi può portare le banche a decidere – e questo dipende anche da scelte di marketing e commerciali – di aumentare in futuro i loro spread, quelli che applicano sui mutui e che ne rappresentano il margine lordo dell’operazione di finanziamento (a cui va aggiunto l’Euribor per calcolare la rata finale del variabile e l’indice Irs per calcolare la rata finale del mutuo a tasso fisso).
Ed è esattamente questo il punto: le banche possono subire un’erosione di capitale e tirare la cinghia sui prestiti alle imprese, mentre se lo spread arrivasse a quota 400 gli istituti di credito potrebbero addirittura aver bisogno di aumenti di capitale, come ha pronosticato oggi un report di Credit Suisse, perché “Un ampliamento di 200 punti base dai 238 di fine giugnoridurrebbe in media il Cet1 (principale indicatore di solidità patrimoniale, ndr) di 66 punti base, dal 12,53% a 11,87%”.
Lo spread e i BtP
Poi c’è il problema dei titoli di Stato. Se i timori sulla stabilità di un paese aumentano, come ora nel caso dell’Italia, ciò significa che le sue obbligazioni sono vendute più sul mercato secondario rispetto a quelle del paese di riferimento, il che abbassa il loro prezzo e aumenta il tasso di rendimento. Per emettere nuove obbligazioni, il paese dovrà adeguarsi al tasso di rendimento del mercato secondario. L’aumento dello spread ha quindi conseguenze di bilancio dal momento che le prossime emissioni obbligazionarie del paese interessato costeranno automaticamente di più come tassi di interesse.
Quanto di più? Secondo Goldman Sachs l’Italia dovrà pagare più interessi sul debito (3 miliardi di euro in più nel 2019) perché chi investe nel nostro Paese lo farà a patto di un premio maggiore. Un aumento che potrebbe essere considerato anche “poco rilevante” ma che va sommato alle maggiori spese da qui al 2021 che potrebbero raggiungere complessivamente la cifra di 20 miliardi di euro. Il tutto mentre la BCE sta avviando a conclusione il quantitative easing, il programma di acquisto dei titoli di stato europei. All’orizzonte c’è sempre lo spettro di un declassamento del rating dei nostri titoli di stato che è appena sopra il livello spazzatura. Un eventuale (ma al momento ancora ipotetitico) downgrade a livello “spazzatura” potrebbe comportare una brusca frenata dell’afflusso di capitali e quindi una notevole difficoltà nel reperire il denaro necessario per finanziare il debito (e la Manovra del Popolo). In ultimo, la Banca Centrale Europea non può comprare titoli che le agenzie di rating valutano negativamente. Almeno una deve avere un giudizio positivo: se arrivasse un declassamento unanime, la BCE non potrebbe più acquistare BtP interrompendo il flusso di liquidità nel sistema bancario e dando il via a un ritorno del credit crunch. Con conseguenze disastrose sull’economia italiana.
0 commenti